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Archive for the ‘desideri’ Category

Il dolore è il mezzo attraverso cui il corpo ci informa di una condizione di danno, è il suo modo per gridare a se stesso “aiuto”. E’ pertanto una benedizione, un sistema – quasi – infallibile a cui dobbiamo esser grati.
Eppure, l’unica cosa che percepiamo è che quella sensazione così spiacevole è qualcosa di completamente estraneo a noi stessi, qualcosa che non ci appartiene, e l’unica cosa che vogliamo è smettere immediatamente di provarlo, cacciarlo via.

Non riusciamo a pensare ad altro. E se potessimo tornare indietro e dipendesse da noi e dal nostro comportamento, faremmo di tutto per evitare che si scateni.
Cerchiamo senza sosta una ragione, una causa plausibile per quello che proviamo, una logica spiegazione, ci affanniamo per capire.
E sia il nostro un dolore psichico o fisico, se è davvero insostenibile, cerchiamo incessantemente una cura, un modo per alleviare la nostra pena, e saremmo disposti a tutto per farlo.

Crediamo di sapere cosa ci farà stare meglio e vorremmo trovar da soli un rimedio, mentre cerchiamo di reagire; altre volte, esausti, non possiamo far altro che affidarsi agli altri, a chiunque ci rassicuri che passerà.
L’unica cosa che desideriamo è non sentire mai più quel dolore; raccomandiamo a noi stessi di non dimenticare quel momento, di usarlo come promemoria ogniqualvolta ci lamentiamo inutilmente del maltempo o del troppo da fare.
Ma poi quasi mai lo facciamo; se il recupero è completo probabilmente ce ne dimenticheremo quasi del tutto, o il ricordo comunque perderà il suo potere evocativo. L’esperienza dolorosa è qualcosa che rifiutamo nel momento stesso in cui ci sentiamo bene, e di cui ci rammentiamo solo quando succederà di nuovo.

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La vita di Brod fu una lenta assimilazione del fatto che il mondo non era per lei; che, quale che fosse la ragione, non sarebbe mai stata nel contempo felice e sincera. Aveva la sensazione di tracimare, di produrre e accumulare sempre più amore dentro di sé. Ma senza mai scioglimento. Tavolo, incanto dell’elefante d’avorio, arcobaleno, cipolla, acconciatura, mollusco, Settimo Giorno, violenza, pellicina, melodramma, fossato, miele, sottocoppa… niente di tutto questo valeva a smuoverla. Si rivolgeva al suo mondo in onestà, alla ricerca di qualcosa che meritasse la quantità di amore che sapeva di avere dentro, ma a ogni cosa diceva: Non ti amo. Paletto di recinto marron-corteccia: Non ti amo. Poesia troppo lunga: Non ti amo. Cena nella scodella: Non ti amo. La fisica, l’idea di te, le tue leggi: Non ti amo. Nulla sembrava qualcosa in più di quello che era davvero. Tutto era semplicemente una cosa, impastoiata, da cima a fondo, nella propria cosalità.
Se avessimo aperto una pagina a casa del suo diario – che deve aver serbato e serbato in ogni momento, con la paura non che venisse perduto, scoperto o letto, ma di imbattersi un giorno nella cosa che finalmente valesse la pena di scrivere e ricordare e scoprire che non aveva qualcosa su cui scrivere – avremmo trovato una qualche enunciazione del seguente sentimento: non sono innamorata.
E dunque si doveva accontentare dell’idea dell’amore – di amare il fatto di amare cose della cui esistenza non le importava affatto. L’amore in sé divenne oggetto del suo amore. Lei amava se stessa innamorata, amava amare l’amore come l’amore ama amare: ed era in grado, quindi, di riconciliarsi con un mondo tanto diverso da quello che avrebbe auspicato. Non era il mondo la grande menzogna salutare: lo era la sua volontà di renderlo bello e giusto, di vivere una vita già-avulsa in un mondo già-avulso da quello dove tutti gli altri sembravano esistere.

Ogni Cosa è Illuminata

Jonathan Safran Foer

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Vorrei che mi piacessero le spezie, perché così mi sentirei una persona esotica e interessante.

Vorrei che i gatti avessero venti vite anziché sette, e che i cani vedessero a colori.

Vorrei regalare il tempo che perdo a chi sa farne un uso migliore di me, e rubarne un po’ a chi non sa che farne.

Vorrei un’occasione alla settimana per festeggiare, due Natali all’anno e un autunno più lungo.

Vorrei un mondo in cui il pout pourri non esiste, in cui le cassiere sorridono di più e le commesse di meno.

Vorrei che le persone ce l’avessero meno con il tempo; così che il vento, la neve e la pioggia non si ritorgessero sempre contro di loro.

Vorrei essere meno permalosa, più docile e più autonoma. Vorrei avere spalle più forti.

Vorrei avere orecchie più grandi, per ascoltarti meglio, e anche una bocca più grande, per parlarti più spesso.

 

Vorrei un posto al mondo solo nostro, e tanti posti al mondo nostri solo per un po’ di tempo.

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